UAE, Fabio Aru racconta il calvario e le nuove speranze: “Avevo mille domande, mille dubbi… Ora vorrei tornare entro fine anno”
Sarà un 2019 molto lungo quello di Fabio Aru. Dopo un 2018 per dire poco complicato, il corridore della UAE Team Emirates si era presentato al nuovo anno con grandi ambizioni, fiducioso di essersi lasciato alle spalle i problemi che ne avevano così pesantemente condizionato il rendimento nella passata stagione. Le prime corse dell’anno hanno invece subito costretto il sardo a sprofondare nuovamente nell’incubo di prestazioni deludenti e inspiegabili. Questo almeno sino questo fine settimana, quando il risultato di una TAC con liquido di contrasto ha emesso un verdetto pesante, quanto per certi versi liberatorio: costrizione dell’arteria iliaca della gamba sinistra.
Necessario un intervento dunque che lo terrà fermo per un mese di riposo assoluto, al quale seguiranno almeno due mesi di allenamenti prima di poter rientrare alle corse. A partire da luglio potremo rivederlo in corsa, da valutare ovviamente le condizioni, ma anche se questa stagione dovesse essere ormai sacrificata alla risoluzione del problema (lo stop complessivo potrebbe essere anche di cinque mesi complessivi), finalmente avere una spiegazione che ha fatto diventare il promettente Cavaliere dei Quattro Mori un corridore sempre costretto a soffrire è qualcosa di importante, prima di tutto per lui.
“Ci sono stati dei giorni in cui in bici ero morto. Devastato. Terribile, e ancora più terribile non capirne il motivo – commenta alla Gazzetta dello Sport – Ora mi dispiace molto fermarmi, ma provo un senso di sollievo, perché so che dopo l’operazione potrò tornare a essere quello che sono davvero. Facevo tanta fatica, mi impegnavo di più ma le cose andavano sempre peggio”.
Dopo un lungo periodo in cui era costretto a correre “limitato” e “scomposto” per risultati deludenti che non rispecchiavano la sua “dimensione”, il corridore di Villacidro ammette la terribile frustrazione di cui ha sofferto per lunghissimi mesi. “Ho i brividi a raccontarlo – confessa – Quando mi è stata data la diagnosi, mi è venuto da piangere. Solo pochissime persone, una di questa è la mia fidanzata Valentina che vive con me, sanno quanto ho sofferto. Nonostante una dedizione incredibile, il non poter raggiungere minimamente il mio livello era frustrante, sì. Non ero Fabio Aru. Impossibile essere sereno. Un decimo posto diventava quasi
una vittoria… ma io non corro per il decimo posto”.
Per uno come lui, il livello che aveva era davvero troppo poco… “Andavo a 250 watt in salita e mi chiedevo, cosa succede? Caspita, stiamo parlando di un livello amatoriale, o anche peggio – commenta – E di testa non mollavo. Alla Vuelta, ai Laghi di Covandonga, ho inseguito per 60 km facendo una fatica bestiale e ho preso 6’. A livello di testa, di grinta, morendo sulla bici”.
Un punto sul quale insiste: “Si poteva pensare che stessi male di testa, ma in realtà la testa è stata fortissima a sostenere tutte
queste delusioni. Il miglior risultato è stato un quarto posto alla Tirreno-Adriatico del 2018… non era possibile. Mille domande, mille dubbi. Avevo un limitatore e vedevo gli altri sfrecciarmi davanti. Ho avuto tante paure. Non mi fossi impegnato, ma porca miseria, io faccio tutto al centodieci per cento”.
Ovviamente, a pochi giorni da un intervento delicato e così importante “un po’ di paura c’è”, ma prevale chiaramente la voglia di ritornare quello di prima. Al “sollievo” per avere trovato la soluzione si unisce la determinazione: “Vorrei tornare in gruppo prima di fine anno. Mentalmente, la ripresa è già iniziata. Non vedo l’ora di rientrare”.
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